ANA MARIA SEGHESSO
PICASSO
Il 7
ottobre 1571 si combatte la battaglia di Lepanto, che fa perdere agli
ottomani il dominio del Mediterráneo e a Miguel de Cervantes Saavedra l'uso
della mano sinistra.
Siamo nella Spagna del re Filippo II, chi dal 1556
governa quest'immenso Impero.
Grandi erano le
responsabilità del sovrano, che oltre a combattere il potente nemico turco
doveva provvedere alla conquista del Nuovo Mondo, opporsi agli avanzi del
protestantesimo nei suoi Stati e lottare per l'egemonia europea contro francesi
e inglesi.
In politica
interna, Filippo II realizzò l'unità Iberica sul pretendente portoghese Don
Antonio; l'autorità reale fu fortificata al massimo con la soppressione dei
privilegi regionali e l'eliminazione dei fuochi protestanti in Valladolid e
Siviglia. Il padre di Filippo, Carlo V di Asburgo, aveva riunito sotto il suo
scettro, gli immensi possedimenti della Corona Spagnola, Napoli, Sicilia, il
Nuovo Mondo, più Le Fiandre e Austria, e l'Impero Germanico - nel mio Impero
non tramonta mai il sole
La Spagna del XV
secolo, potente e guerriera, che consumava i suoi figli in sogni di conquista
oltre mare e in tutti i fronti d'Europa occidentale, si era fatta grande a
forza di spada e iniziativa.
Nell'anno 711
penetrano i mussulmani nella penisola Iberica; Don Rodrigo, ultimo re visigoto,
è sconfitto dalle truppe arabe che s’impossessano di tutto il territorio. I
cristiani, rifugiati nelle montagne asturiane del Nord, reagiscono, e nel 718 iniziano
la Riconquista, che durerà otto secoli.
Comincia in quel periodo ciò che nel Cinquecento sarebbe diventata l'egemonia spagnola, in un processo di tensione e distensione, con la Riconquista del territorio occupato, unificazione dei regni e conquista dell'Impero.
Nascono durante
la Riconquista i regni di Asturias, Leone, Castiglia, Aragona, Navarra,
Catalogna e Portogallo, nuclei cristiani che portano avanti la lotta contro il
dominio mussulmano insediato nella Penisola.
Le politiche matrimoniali e altre circostanze storiche condussero in
seguito all'unione di questi stati. La
prima di tutte, nell'anno 1137, sarà quella di Aragona e Catalogna, l'ultima,
nel 1479, unisce Castiglia e Aragona con
il matrimonio di Fernando e Isabella.
Il secolo XV dà il via all'espansione europea, che condurrà al predominio universale dell'Occidente, con il desiderio, molte volte riuscito, di distruzione di civiltà negli altri continenti.
La Spagna di
Filippo II è un'esplosione d'energia; da ogni focolare spagnolo è uscito un
monaco o un soldato, se non un monaco e un soldato contemporaneamente.
Santa Teresa ha
visto partire per l'America tutti i suoi fratelli, e grande lettrice di libri
di cavalleria, sogna di percorrere il mondo. Sono stati gli spiriti più lucidi
ad accorgersi che quelle campagne erano una rovina.
Cervantes in quegli anni concepisce e scrive il
"Quijote".
La Spagna si
trova, come conseguenza della sua sorprendente attività, esausta, spopolata
(soltanto nel regno di Filippo II ha perso due milioni di anime), miserabile,
vicina alla sconfitta...
E quale avrebbe potuto essere il desiderio più profondo di quel paese così stanco, se non di riposare? Non dissimula Cervantes che la cosa migliore che può fare il suo hidalgo è restare tranquillo in casa.
Sono stati i soldati
degli eserciti spagnoli primi ad affezionarsi al Chisciotte, leggendolo in
terra straniera.
"A la guerra me lleva mi necesidad,
si tuviera dineros no fuera, en verdad".
Alla
guerra mi porta la necessità
se
avessi denari, non andrei, in verità.
(Canzone popolare)
Cervantes spiega il legame che lo unisce a Don
Chisciotte, il Cavaliere della Triste Figura, quando dice:
- Per me soltanto è nato Don Chisciotte e io per lui;
egli ha saputo fare e io scrivere. Siamo
l'uno per l'altro.
Nacque Miguel de Cervantes Saavedra in Alcalà de Henares, e fu battezzato il 9 ottobre del 1547 (calendario giuliano). I biografi, molto precisi per altri aspetti, non sono riusciti a scoprire la data esatta di nascita. Se ipotizza l'avvenimento un mese prima del battesimo, poiché era abitudine dell'epoca.
Cervantes è il quarto figlio di un modesto medico
chirurgo, Rodrigo de Cervantes, e di Donna
Leonor Cortinas; apparteneva a una famiglia hidalga e povera che fa di lui un uomo comune, poiché il ceto
hidalgo era una classe media numerosa, tra i cavalieri e gli artigiani.
Formavano parte della classe hidalga gli spagnoli cristiani di vecchia data e non incrociati a mori o ebrei. Avevano certi privilegi e provenivano da casato noto; ai tempi di Cervantes molti hidalghi avevano perso i possedimenti e la loro povertà era diventata proverbiale.
Tuttavia la hidalghia continuava a imporre esigenze di onore familiare nell'educazione, l'abbigliamento e la professione. Perciò Miguel e il fratello Rodrigo, nonostante la scarsità di mezzi, furono istruiti per dedicarsi alle armi e alle lettere.
Poco si conosce dell'infanzia e gioventù di Cervantes; il padre cambia spesso di posto cercando lavoro. Tra il 1551 e il 1560 vivono in Valladolid, Madrid e Siviglia; a diciannove anni è studente di Juan López de Hoyos, dotto umanista, direttore dello "Studio di Madrid", e si fa notare componendo un'elegia, in occasione delle esequie della regina Isabella de Valois, moglie di Filippo II.
Non si sa con sicurezza,
dove Cervantes abbia frequentato i suoi studi superiori. Non è accertato che
fosse matricolato a Salamanca o ad Alcalà de Henares; forse seguì lo
"Studio della Compagnia di Gesù" a Siviglia, che elogia in una delle
sue opere, "per la sollecitudine e industria che quei maestri e padri benedetti (i gesuiti)
dedicavano ai bambini".
Nel 1568 interrompe bruscamente i suoi studi e la sua
carriera letteraria partendo per l'Italia come assistente del legato pontificio
Giulio Acquaviva - divenuto più tardi Cardinale. Coincide la data di partenza
con un ordine di arresto nei confronti di un certo "Miguel de Cervantes,
per aver causato ferita ad Antonio de Sicura, cavaliere di questa Corte".
Nel 1570
intraprende l'altra via normale degli spagnoli del tempo arruolandosi come soldato. Partecipa alla battaglia di Lepanto ed
è ferito alla mano sinistra. Passa molti mesi nell'ospedale di Messina finendo
per perdere il movimento della mano.
LEPANTO
"Persi
nella battaglia navale di Lepanto l'uso della mano da un'archibugiata che me
provocò una ferita che sembrando brutta, la tengo per bella, perché mi è stata inflitta nella più memorabile e
famosa occasione che abbiano i secoli passati e possono vedere i venturi,
militando sotto le bandiere vincitrici del figlio del Fulmine della
guerra".
La sua vita militare continua, partecipando alla conquista della Tunisia e ad altre spedizioni; percorre diverse città italiane.
Nel settembre del 1575 è catturata la sua nave dai mussulmani quando tornava in Spagna, pieno di gloria e con una lettera di raccomandazione dell'Ammiraglio Don Juan de Austria (figlio illegittimo dell'imperatore Carlo V, fratello di Filippo II).
Don Juan de Austria
Questa lettera provocherà grandi sofferenze allo scrittore perché fece credere ai mori di essere davanti a un personaggio vicino al re.
Per cinque anni e
mezzo Cervantes resterà prigioniero ad Algeri; in molte occasioni ricorderà quella
città tutta luce e miseria, dove ventimila carcerati lavoravano per trentamila
disoccupati. Per la sua liberazione fu chiesta una somma elevata e per questo
motivo restò più del solito.
Ad Algeri
diventò il capo di una congiura che si proponeva di impossessarsi della piazza
militare per restituirla alla Cristianità, sotto l'auspicio del re di Spagna. Nella
lotta per la libertà propria e dei compagni, diresse quattro tentativi di fuga,
tutti falliti per tradimenti e slealtà dei connazionali.
A trentaquattro anni ritorna in patria, pieno di
progetti, alla cui realizzazione lo facevano meritevoli i suoi servigi,
coraggio e grande fama raggiunta tra i ventimila spagnoli prigionieri in
Algeria.
È stato il primo
tra i reclusi, lo Stato dovrà riconoscerlo, ma non è così…
Attende in
Valenza la retribuzione: non arriva. Va a cercarla a Madrid, non la trova. La
Corte trasloca a Lisbona e Cervantes la segue perché non può credere che le sue
prestazioni siano passate inavvertite.
Infine gli è affidata una commissione a Oran, di poca importanza e per giunta pericolosa. Quando torna da Lisbona, è deluso dalla Corte e dalle armi.
Infine gli è affidata una commissione a Oran, di poca importanza e per giunta pericolosa. Quando torna da Lisbona, è deluso dalla Corte e dalle armi.
Tra il 1583-87
si dedica alla letteratura; abita a Madrid facendo il commediografo con un
certo successo; scrive La Galatea.
In quegli anni ebbe un'avventura amorosa, l'unica conosciuta nella sua vita, dalla quale nacque la figlia Isabella de Saavedra.
Fu questa figlia la sola discendente, e alla morte della madre - Ana Franca, attrice di teatro -
avvenuta nel 1599, andò a vivere con lui.
Nel dicembre del
1584 si sposa con Donna Catalina de Salazar Palacios, a Esquivas, Toledo, hidalga,
di diciannove anni minore di lui, che apporta al matrimonio una buona dote. Il
matrimonio è stato combinato da Donna Leonora, madre dello scrittore, che mette
così il figlio al riparo della povertà.
Non ostante lo
sposalizio, Miguel continua la sua vita a Madrid, attratto dall'ambiente, dimenticando Esquivias e trascurando moglie e
proprietà.
Nel 1587
rinuncia alle ambizioni letterarie e comincia un lungo periodo di vita
errabonda costretto per la necessità a guadagnarsi da vivere.
"Dovetti occuparmi di altre cose, lasciai la piuma e
le commedie", scrisse Cervantes, descrivendo il periodo della sua vita che
va dai quaranta ai cinquantasette anni.
A Siviglia
lavora come esattore di grano, olio e altre derrate alimentari per
l'approvvigionamento della Grande Armata che Filippo preparava contro
l'Inghilterra.
Il lavoro di "commissario" che svolgeva era duro, odioso e mal pagato; ebbe difficoltà a non finire, da parte di chi si opponeva a pagare i tributi, e da parte della burocrazia amministrativa, alla quale doveva rendere conto.
Il lavoro di "commissario" che svolgeva era duro, odioso e mal pagato; ebbe difficoltà a non finire, da parte di chi si opponeva a pagare i tributi, e da parte della burocrazia amministrativa, alla quale doveva rendere conto.
I particolari del suo lavoro sono stati raccolti in documenti e formano un tessuto noiosissimo di fatti che riportano alla routine della sua professione e agli ostacoli che trovò nel suo esercizio.
Nel 1588 fu
scomunicato per aver confiscato grano di proprietà della Chiesa. Nel 1590 fa
petizione al re per andare in America, sollecitando un posto, che non gli è
concesso.
Nel 1594, come
esattore del re, deposita una grossa somma, riscossa dal banchiere portoghese Simon
Freire Lima, che poco dopo dichiara fallimento e sparisce.
Cervantes è allo
scoperto. Durante tutto l'anno 1595 tenta di giustificare la sua posizione
davanti all'autorità Finanziaria; cerca qualche guadagno nella letteratura, ma
non è sufficiente e non potendo pagare la cauzione entra nel 1597 nel carcere
di Siviglia.
La leggenda
vuole che il libro più spensierato della lingua spagnola cominciasse a essere
scritto in questo carcere e che la sua lettura abbia rallegrato galeotti e
ladri lì rinchiusi con un soffio di ottimismo.
Tra i
quarantotto e cinquantasette anni si sviluppa a fondo il suo genio creatore;
scrive con ironia profonda e complessa. Appaiono in quel periodo le sue grandi
opere.
Non gli manca l'aiuto di personaggi potenti, come il Conte de Lemos e
l'Arcivescovo di Toledo.
Il 19 aprile di 1616 scrive nella dedicatoria del Persile,
-..."messo
già il piede nella staffa..." - per cavalcare la Morte, che accadde
quattro giorni dopo.
Il Chisciotte sembrerebbe a prima lettura, una parodia letteraria dei libri di cavalleria, popolarissimi all'epoca, che l'autore si propone di deridere. Il protagonista è diventato pazzo leggendoli e decide a cinquant'anni, dopo una vita dominata dalla concretezza, di farsi Cavaliere errante per "accrescere il suo onore e realizzare il Bene nella terra".
Cervantes
sviluppa questi concetti confrontando l'utopia con la realtà più banale. Il
risultato sarà lo scontro tra due mondi: uno puro e luminoso, l'altro torbido e
meschino.
La pazzia
dell'hidalgo è vitale e generosa, dona vita a tutto ciò che tocca e alza ciò che
vede a un piano superiore. Le bettole saranno castelli, le prostitute
nobildonne, i villani cavalieri, i mulini giganti e così all'infinito.
Identifica le proprie immagini interne, col mondo che lo circonda, credendo
vero ciò che è Illusione.
Don Chisciotte rappresenta la metamorfosi psichica nella
visione esistenziale della vita de Cervantes.
Fallito come
militare, perché non fece carriera nelle armi, come commediografo perché le sue
commedie non le permettevano di vivere con decoro, come esattore perché fu
derubato e dopo condannato, perdendo l'onore, e perfino come uomo perché era
monco, decise di scaricarsi dei suoi fantasmi, ridendo.
Ramiro de Maeztu ha scritto: "Don Chisciotte è lo stesso Cervantes, spoglio di circostanze banali, astratto, idealizzato, che si alza sopra il tempo e lo spazio fino a raggiungere il cuore di tutti gli uomini che hanno messo i loro sogni più in alto dei mezzi per realizzarli".
Non esiste in Cervantes censura o satira contro il mondo eroico della Spagna, bensì contro il proposito eccentrico di voler risuscitare le avventure dei libri di cavalleria.
Le due figure, l'hidalgo e lo scudiero costituiscono il nucleo e il contrasto della novella.
La discussione giganti-mulini
li definisce.
Sancho, con il suo senso delle apparenze facili delle cose, è la voce della Realtà: -
-
Guardi Vostra Merce, che quelli che lì sembrano giganti non lo sono, ma mulini a vento, e ciò che sembrano braccia sono pale, che volteggiate dal vento, muovono la pietra del mulino -.
Guardi Vostra Merce, che quelli che lì sembrano giganti non lo sono, ma mulini a vento, e ciò che sembrano braccia sono pale, che volteggiate dal vento, muovono la pietra del mulino -.
-
Don Chisciotte risponderà differenziando il suo mondo metafisico dal prosaico dello scudiero:
Don Chisciotte risponderà differenziando il suo mondo metafisico dal prosaico dello scudiero:
- Essi sono
giganti, e se hai paura, togliti di mezzo e mettiti a pregare -.
Si avverte in queste parole lo spirito del soldato di Lepanto. Cervantes è uomo della generazione dell'Imperatore Carlo V, l'ascetismo di Filippo II lo lascia impassibile e preferisce il mondo dell'azione e dell'eroismo.
La satira è contro il piccolo mondo borghese e contadino,
nel quale lo stesso autore ha sofferto.
Sancho Panza incarna l'anima del popolo, pieno di umanità e di astuzia, miscuglio d'egoismo e bontà, fede e scetticismo; così si confessa:
- "La verità è che mai ho letto una storia di
cavalleria, perché non so leggere né scrivere, ma oserò scommettere che padrone
così ardito come Vostra Merce non ho mai servito in tutta la mia vita, e voglia
Iddio che questa impertinenza non sia pagata dove mi hanno detto".
L'avventura dell'elmo di Mambrino (re moro celebre nei racconti di cavalleria, il suo elmo lo faceva invulnerabile) è il nocciolo della visione di Don Chisciotte e della sua intuizione alternativa.
La catinella da barbiere - scambiata per l'elmo di Mambrino - propone interminabili discussioni con Sancho, rispetto alla sua Realtà. La controversia si risolve in atteggiamenti psicologici nei quali si giunge all'accordo attraverso il dissenso, quando Sancho dice:
-
"…
quest'elmo, somigliantissimo a bacile di barbiere...",
o lo chiama
"baci elmo",
e risponde Don Chisciotte con sussiego
-
"Quello che a te pare bacile da barbiere, a me sembra l'elmo di Mambrino, e magari a un altro sembrerà un'altra cosa."
"Quello che a te pare bacile da barbiere, a me sembra l'elmo di Mambrino, e magari a un altro sembrerà un'altra cosa."
Una visione soggettiva è alla base dell'individualismo esaltato di Don Chisciotte,
- "Potranno gli incantatori togliermi la Fortuna, ma
il coraggio e l'animo sarà impossibile".
Il gioco dialettico va lentamente complicandosi, di modo che il lettore stesso non ha più la certezza di quale sia la Realtà, che si sdoppia in svariate possibilità e il riso iniziale si trasforma in riflessione profonda.
- "É un fratello del Greco" -
scrive Valbuena Prat - "ma, generato nell'umore e non nell'esaltazione
spirituale".
Lo scrittore russo Turgheniev ha scritto:
- "Don Chisciotte rappresenta soprattutto il
problema della fede in qualcosa d'eterno, d'immutabile, della fede nella verità
superiore all'individuo; vive per far trionfare la verità e la giustizia nella
terra. Non c'è in Don Chisciotte abbozzo d'egoismo, in contrasto con Amleto il
cui Io è il centro del mondo. È tutto
abnegazione e sacrificio; muove a ridere ma il riso è conciliante, quasi
un'espiazione".
Quando diventa assennato Don Chisciotte muore.
Privato del suo mondo ideale, intimamente cede, incapace
di trovare un’uscita al suo anelo d’eroismo.
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