ANA MARÍA SEGHESSO
LE RADICI
L’Astrologia ha mostrato dalle sue origini elementi magici, religiosi e scientifici in una configurazione armonica.
“I Caldei, dunque, affermano che la natura del cosmo è eterna e né ha avuto una nascita all’inizio né mai in futuro subirà distruzione; che la disposizione e l’ordinamento di tutte le cose sono avvenuti per merito di una divina provvidenza, e che ora ciascuna cosa che avviene nel cielo si compie non per caso o per un impulso spontaneo, ma per una determinata e saldamente confermata decisione degli dei.
E poiché hanno compiuto lunghissime osservazioni degli astri e hanno acquisito la conoscenza più precisa, fra tutti gli uomini, dei movimenti e delle proprietà di ognuno, predicono agli uomini molto di ciò che dovrà loro accadere.
In particolare affermano che è importantissimo lo studio delle proprietà relative ai cinque astri detti “mobili”, che essi chiamano collettivamente “interpreti”, mentre singolarmente quello che dai Greci è chiamato Crono, e che è il più importante e dà il maggior numero di preannunci, lo chiamano “astro del sole”, e gli altri quattro li chiamano come i nostri astrologi “astro di Ares”, “di Afrodite”, “di Ermes”, “di Zeus”. Li chiamano “interpreti” per questo motivo, poiché mentre gli altri sono immobili e compiono un’unica rivoluzione lungo un corso stabilito, questi soli, compiono un ciclo peculiare, indicano ciò che sta per avvenire, fungendo così da interpreti per gli uomini delle intenzioni degli dei. Infatti, dicono che talora con il loro sorgere, talora con il tramonto, talora con il colore, essi danno segni premonitori a chi voglia prestarvi una scrupolosa attenzione.
”… “Dicono poi, che tra questi dei ce ne sono alcuni principali, in numero di dodici, a ciascuno dei quali attribuiscono un mese e uno dei cosiddetti segni zodiacali; e dicono che attraverso questi compiono il loro corso il sole, la luna e le cinque stelle mobili.” … “Oltre il cerchio dello zodiaco, individuano ventiquattro stelle, di cui metà dicono che sia posta nelle regioni boreali, e l’altra metà in quelle australi; e di queste quelle visibili le attribuiscono ai viventi, quelle invisibili ritengono che siano state assegnate ai defunti, e le chiamano “giudici dell’universo.” (1)
Questa dichiarazione, con cui comincia l’esposizione delle conoscenze astronomiche dei Babilonesi, appartiene allo storico siciliano Diodoro Siculo; è lui che offre il più dell’indicazione sullo stato delle conoscenze dei sacerdoti Caldei circa l’astronomia.
Nella sua Biblioteca storica studia a fondo i pianeti e costellazioni, lo zodiaco e le stelle fisse, analizzando anche il carattere astrologico in senso contemporaneo e finendo con la notizia dell’antichità di tale studio in Babilonia.
Le concezioni cosmologiche dei sacerdoti caldei si propagarono e rifiorirono in Oriente e in Occidente.
Altri scrittori classici confermano l’autorità degli abitanti della Mesopotamia, Cicerone nel De divinatione, Plinio nella Naturalis Historia.
I ritrovamenti archeologici eseguiti nella Mesopotamia antica negli ultimi cento anni, corroborano i testi degli scrittori antichi; i contenuti delle tavolette cuneiformi decifrati sono per la maggiore parte a carattere astrologico, come la famosa serie Enuma Anu Enlil (“Manuale dell’astrologo”) con settanta tavolette.
Secondo i sacerdoti babilonesi, tutte le arti divinatorie e in particolare l'Astrologia, sono una dimostrazione evidente che i messaggi letti nelle stelle sono segni del mondo divino all’uomo, affinché egli possa interpretarli e trasformarli in suggerimenti su come agire meglio. L’Astrologia, denominatore comune alle differenti arti divinatorie, fu nominata “Scienza Divina”.
La conoscenza del futuro era proprietà riservata agli dei, e i sacerdoti rivelando l’occulto erano semplici portavoce della divinità. Nella fase mitica dei popoli, vale a dire prima della scoperta della scrittura, esistette un primo periodo in cui gli dei governarono direttamente il mondo e un secondo, in cui la dignità del potere fu consegnata agli uomini, ma guidati da essere semidivini inviati dal mondo soprannaturale.
Lo scrittore caldeo Berosso racconta, nel primo libro dell’opera Babiloniakà, come esseri ultraterreni insegnarono agli uomini le norme basilari di vita:
Berosso afferma - secondo quanto apprendiamo dalla menzione che ne fa lo scrittore classico Polistore -
… “che una bestia chiamata Oannes apparve dal mare Eritreo, in un luogo adiacente a Babilonia. Tutto il suo corpo era di un pesce, ma una testa umana gli era cresciuta sotto la testa del pesce, e piedi umani gli erano similmente cresciuti dalla coda del pesce. Esso aveva una voce umana, e una sua immagine è conservata fino il giorno d’oggi. Questa bestia passava i giorni in compagnia degli uomini, ma non mangiava cibo alcuno.
Essa diede agli uomini la conoscenza delle lettere, delle scienze e delle arti d’ogni tipo.
Insegna loro anche come fondare città, erigere templi, formulare leggi e misurare i campi. Essa rivelò loro i semi e la raccolta di frutta ed in genere diede loro ogni cosa connessa con la vita civilizzata. Dal tempo di quella bestia nulla di nuovo è stato scoperto.
Quando il sole tramontava, questa bestia, Oannes, si tuffava nel mare e passava le notti nell’abisso, poiché essa era anfibia.”(1)
Prove delle vicende contenute nell’opera di Berosso, giungono dai testi cuneiformi; in un testo di Uruk si è trovato l’elenco dei sette re antidiluviani, ognuno dei quali è accompagnato da un Saggio.
Il primo dei Saggi si chiamava Oannes e secondo la tradizione, era un essere semidivino.
Il Diluvio Universale chiude questo periodo: gli dei non intervengono più nelle vicissitudini umane, i Saggi hanno finito la loro missione e l’uomo, ormai solo, comincia la sua Storia.
Secondo il testo di Uruk citato, il primo sovrano che ha come consigliere un consulente interamente umano, è il leggendario re Gilgameš.
Il passaggio a questa terza fase non sarà troppo sconvolgente perché il re era, per due terzi dio e per un terzo uomo e, perché per entrare in contatto con gli dei creatori dell’universo, fu istituita la Mantica o divinazione.
Berosso (3) non nomina le sue fonti di informazione, ma dopo aggiunge che i Caldei avevano iniziato a studiare i tempi del movimento degli astri al inizio dal regno di Nabonassar (VIII sec. a.C.), informazione approvata da Claudio Ptolomeo.
Plinio il Vecchio menziona la maestria di Berosso nell’astrologia, rammentando la sua statua eretta nel Ginnasio di Atene in onore ai suoi insegnamenti.
I Babilonesi non furono l’unico popolo dell’antichità ad organizzare la scienza del predire il futuro. Anche i Greci, gli Etruschi, i Romani, e in Oriente i Persiani, gli Indiani e Cinesi coltivarono questa conoscenza.
L'astrologia s’introdusse in India all’arrivo della dottrina del Buddha (c. 560 a.C. -480 a.C.); in Persia e Cina nello stesso periodo in cui si spandeva il pensiero di Confucio (561 A.-479 a.C.).
Nell’antico Egitto l’astrologia ebbe una posizione privilegiata; le conoscenze astronomiche, la religione e l’astrologia formarono un “sapere segreto” della potente casta sacerdotale e del faraone.
La concezione di un ordine terrestre in armonia con quello celeste, fu coltivata in Egitto sulla tripla relazione dell’inizio della piena del Nilo, il solstizio d’estate e la levata iliaca di Sirio.
Il filosofo greco Platone scrive in Epinomide che lo studio dei movimenti astrali iniziò in Egitto e Siria, grazie alla straordinaria bellezza del clima, che permetteva contemplare il cielo senza interruzioni. Alla sua scuola era venuto Berosso, (2) un Caldeo che aveva fatto conoscere ai greci la scienza astrale mesopotamica.
Platone annovera l’astrologia tra le discipline che devono imparare i giovani:
“Ci sono ancora tre discipline che devono apprendere gli uomini liberi: una di loro è costituita dai calcoli e dello studio dei numeri, la seconda dall’arte di misurare le lunghezze, le superfici e i solidi, presa nella sua unità, e la terza finalmente studia le rivoluzioni degli astri e i loro rapporti reciproci, che per natura si danno nel loro cammino. Su tutte queste cose, in quanto sono congiunte con uno studio minuzioso, non devono affaticarsi i molti, ma solo certi pochi - … quanto alla massa, invece, le nozioni che nell’ambito di queste discipline nel modo più giusto si dicono necessarie, è vergogna per i molti ignorarle, ma non è facile né assolutamente possibile che ognuno lo faccia oggetto di accurata indagine. ”
(Leggi, VII, 818)
Tra gli scrittori di cultura greca, Plutarco si occupa dell’astrologia nel De Iside et Osiride; Strabone la menziona nella sua Geografia: da lui veniamo a sapere dei centri di studi astronomici della Babilonia e i nomi d’alcuni grandi studiosi.
Nel secolo II d.c., Claudio Ptolomeo, un egiziano nato ad Alessandria, astronomo, astrologo, matematico e geografo, scrisse il Tetrabiblos, compendio di tutta la scienza astrologica allora conosciuta e che rappresenta ancora oggi, il massimo lascito dell’antica tradizione.
Appartiene a questo egiziano che scriveva in greco, il merito di aver trasmesso la sintesi del sapere astrologico più antico.
L’Antico Testamento menziona l’astrologia mesopotamica in tre occasioni; il primo autore è il profeta Isaia, che nella maledizione su Babilonia descrive la dedizione dei popoli mesopotamici all’astrologia (Isaia 47,13 sgg.). Il profeta Nahum, parlando della caduta di Ninive, ricorda lo straordinario numero d’astrologi alla sua corte (Nahun, 3,17 sgg.).
La terza citazione è nel libro di Daniele, dal quale veniamo a sapere che il profeta, sotto il re Nabucodonosor, ricevette l’incarico di "Capo degli astrologi" della corte babilonese. (Daniele, 5,10 sgg.)
In tale passo gli astrologi sono chiamati “Caldei”, e continueranno a nominarsi cosi in tutto il periodo ellenistico, quando la parola perderà qualsiasi caratteristica etnica e geografica per segnalare solamente gli studiosi di questa disciplina.
Platone scrive nel Timeo sulla Genesi e Creazione dell’universo gli stessi concetti di Berosso.
LE CRITICHE
Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale”, fa allusione alla straordinaria antichità della Scienza astrologica, precisando il momento storico in cui cominciò ad essere praticata in Mesopotamia.
…”secondo Epigene ci racconta, i babilonesi possedevano osservazioni astronomiche redatte su mattoni cotti, che risalgono a 720.000 anni, ed egli ha un’autorità considerevole; i sostenitori della cronologia più corta, Berosso e Critodemo, dicono 490.000 anni.”
Diodoro Siculo non da alcun’affidabilità a queste date e si esprime cosi:
“Quanto al numero d’anni per i quali dicono che la classe dei Caldei abbia compiuto lo studio degli oggetti del cosmo, sarebbe difficile credere loro: essi calcolano, infatti, che siano passati 473.000 anni fino al passaggio in Asia d’Alessandro, da quando anticamente cominciarono a compiere le osservazioni degli astri!”
Questa affermazione è stata respinta da Cicerone, che accusa i Caldei di superficialità o volontà di ingannare nel menzionare tali date:
“Condanniamoli, dico, per stoltezza, leggerezza o malafede, essi che, per loro stessa dichiarazione, conservano le registrazioni scritte riguardanti 470.000 anni, e sentenziamo che mentiscono e non temono il giudizio che su di loro pronunceranno i secoli futuri.” (4)
L’accusa più frequente contro gli “indovini” del tempo, era d’inganno, di brama di denaro (anche poco) da parte d’impostori di bassa lega e affamati.
Catone il vecchio è l’autore del famoso detto:
“Mi meraviglio che un aruspice non si metta a ridere quando incontra un altro aruspice”,
citato dallo stesso Cicerone.
Nel De agri cultura, enumera tra i doveri del amministratore quello di "non consultare alcun aruspice, augure - soprattutto quelli privati - caldeo, ovverosia astrologo."
Catone non credeva a costoro, ma paventava sopra ogni cosa che essi istigassero ai contadini schiavi. Era al contrario bendisposto alla divinazione di stato, strumento di potere romano.
Va comunque precisato che insieme alla divinazione popolare esisteva anche una divinazione “speculativa” penetrata in Roma attraverso i filosofi greci.
Intellettuali e politici romani avevano un diverso criterio di valutare la divinazione; i primi assumevano un disprezzante e razionalistico distacco per gli indovini giudicati come ciurmatori. I politici, invece, utilizzavano il collegio degli auguri (5)
Il loro potere politico consisteva nella facoltà di far sospendere i comizi o di dichiarare nulle le loro decisioni; gli imbrogli e mancati rispetti della volontà popolare furono la logica conseguenza di tale potere.
Cicerone, lui stesso augure nel -52., accettò le istituzioni religiose romane, ivi incluse la divinazione, prendendo in considerazione gli auspici in tutti i casi in cui la legge li stabiliva:
-“…è doveroso, per chiunque sia saggio, preservare le istituzioni dei nostri antenati mantenendone in vigore i riti e le cerimonie”-.
Si annulla cosi la differenza tra superstizione e religione perché sono ambedue forze politiche conservatrici, attribuendo la prima ai ceti popolari, la seconda agli intellettuali e depurandola non solo di pratiche divinatorie ma di qualsiasi tipo di ritualità.
Non esiste contraddizione allorché nella III Catilinaria, Cicerone manifestò la sua certezza ai fatti soprannaturali che accaddero prima la congiura.
Il famoso politico romano sfruttò la superstizione come instrumentum regni, in circostanze di grave pericolo di rivolta, sicuro che il popolo avrebbe ritenuto vero che lo stesso Giove sosteneva l’ideale ufficiale con i suoi straordinari presagi.
Affresco di Baldassarre Peruzzi che raffigura l'oroscopo di Agostino Chigi, in cui i pianeti e le costellazioni, rappresentati in sembianze mitologiche, fanno riferimento ad una precisa posizione astronomica